IL CINEMA MADE IN CINA BATTE QUELLO DEGLI USA. IL PAESE ASIATICO DIVENTA IL SECONDO PRODUTTORE MONDIALE DI PELLICOLE

La Cina è diventata il secondo mercato mondiale del cinema nel 2012, dietro agli Usa. Lo rende noto l’agenzia Xinhua, citando i dati del Sarft, l’amministrazione di stato che sovrintende la radio, il cinema e la tv. Le vendite dei biglietti cinematografici l’anno scorso sono salite del 30% rispetto al 2011, nonostante Pechino continui a imporre forti restrizioni all’ingresso di film stranieri nel paese. Nel 2012 tuttavia la Cina ha consentito ad ampliare l’offerta di film importati dagli Usa, portando quelli consentiti da 20 a 34 pellicole, contro gli 893 film prodotti in Cina. L’incasso dei film stranieri, nonostante il filtro dello stato, ha pesato per il 51% sul totale degli incassi nel 2012, superando per la prima volta in 9 anni quello generato dai film cinesi. Gli incassi dei film di Hollywood sono passati dal 18% al 25%. I film prodotti in Cina sono essenzialmente di tre tipi: commerciali, di propaganda e d’autore. Per quanto il processo di selezione e distribuzione a cui le pellicole sono sottoposte, sia simile per tutti e tre i generi, gli obiettivi che spingono le produzioni e i rapporti che si stabiliscono con il governo a seconda del progetto cinematografico in questione, variano in modo considerevole. Nonostante queste pellicole siano molto apprezzate all’estero, per esempio solo nel 1995 i film cinesi hanno ricevuto 48 premi in varie rassegne internazionali, molte di loro difficilmente vengono mostrati in Cina perché, secondo quanto affermato dall’ex Ministro della Propaganda del Pcc, Ding Guangen, “i personaggi principali spesso incarnano figure ignoranti, barbare e prive di senso di umanità, il che mette in cattiva luce gli alti ideali, le convinzioni e l’eccellente lavoro compiuto dal Partito Comunista”. Fare film in Cina non è un’ impresa semplice, molti registi, cinesi e non, si lamentano di come sia difficile lavorare in un Paese monopartitico basato sulla propaganda, un Paese in cui il cinema, come anche la stampa, deve sottostare a rigide regole.